Pittore

Giuseppe Ciccia

Giuseppe Ciccia

Pittore

Non si guarda un’opera del maestro Ciccia senza provare una grande emozione. Non avendoci chiesto che cosa rappresenta, bensì che cosa esprime e come.
Pierfrancesco Listri


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Biografia

Giuseppe Ciccia nasce a Messina nel 1946. E’ negli anni ’60 che emerge nel palcoscenico artistico con opere ispirate alla Pop-Art.
La sua formazione artistica inizia nella sua città natale completando in seguito gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e quindi consegue l’abilitazione all’insegnamento, intraprendendo anche la carriera di docente.
Da qui hanno inizio i suoi numerosi viaggi esplorativi e la conoscenza di artisti come: Silvio Loffredo, Vinicio Berti, Simon Benetton, Emilio Vedova, Ugo Capocchini, Gastone Breddo, ecc.

Nel 1975 Giuseppe Ciccia fonda il Movimento Artistico denominato “Assurgentismo” con il chiaro intento di riportare l’arte al centro della vita, alla sua condizione naturale intesa come evoluzione dello spirito.

Partecipa alla X Quadriennale di Roma “La Nuova Generazione”.
Interviene alla Mostra Internazionale del Cinema della Biennale di Venezia, presieduta da Gianluigi Rondi, con delle “Postcards” scelte appositamente per evidenziare un messaggio attraverso un segno pubblicitario estrapolato dall’architettura della laguna.

Da ricordare alcune mostre tra le più rilevanti: “Tralci” Chiostri e Sala d’Armi della Basilica di S. Maria Impruneta (FI) e realizzazione dell“Etichetta del vino dell’anno” e del “Gonfalone” per il Palio di S. Luca; Biennale “The Art Card” , Sharjah Art Museum, Emirati Arabi Uniti ; Galleria del Palazzo Coveri “Alchimie, Silenzi e Vibrazioni” Firenze; Shanghai China, “Ming Yuan Art Center” e al “Wison Art Center” – Nell’occasione della Fiera del Lusso espone al “Mondo Arte” Gallery Dubai U.A.E. ; Area e Museo Civico Archeologico “Finestra Sul Passato” Fiesole (Firenze); Palazzo Medici Riccardi Sale Fabiani “Memoria e Divenire” – retrospettiva 1963-2013, 50° di Attività artistica, Firenze; Chiostro Villa Vogel Firenze “Quarant’anni del Manifesto Assurgentismo 1975 -2015” Movimento artistico fondato da Giuseppe Ciccia, Milano MA-EC “Dal cHaos alla Luce”; Lu.C.C.A. Museum “La sfida di icaro”; Galleria d’Arte Contemporanea La Fonderia Firenze “L’Urlo del silenzio”. Presente a varie Expo.

Con la litografia “Il nodo della matassa” ritoccata in oro a mano è presente al Gabinetto Viesseux, Biblioteca Nazionale e Gabinetto dei Disegni e Stampe della Galleria degli Uffizi – Firenze. L’opera “Archeologia” tecnica mista su tela di cm 100×150 del 2009 è collocata presso il Senato della Repubblica Italiana – Palazzo Madama, Roma.

Sue opere sono presenti in luoghi pubblici, di culto e privati.

Critica

In questa povera (sempre più povera) incertezza culturale, apprezziamo i pochi segni di stabilità linguistica, perché da questi, quando si tornerà ad una responsabile normalità civile e naturale, si dovrà ripartire. E quali sono questi “segni di stabilità” ? Sono le fedeltà a quei linguaggi e a quelle poetiche rimaste invendute alla mutabile opportunistica moda. Fra queste “certezze” c’è, per l’appunto, l’opera di Ciccia, sempre a cavallo tra la gestualità di rottura di Jackson Pollok e l’astrazione lirica di Georges Mathieu.

Ad introdurre il libro di Arnheim, non a caso, era prefatore Gillo Dorfles – uno dei più lucidi estetologi d’arte dell’Occidente -, che invocava, per ogni autentica conoscenza di un’opera d’arte o di un’artista, non più una lettura “derivata dai dati di sensazioni parcellari”, quanto un’altra e diversa “costituita da degli insiemi percettivi”. Dorfles insisteva sulla identificazione e il riconoscimento d’un insieme percettivo, appunto, che connotava come “pattern visivo” (modello complesso).

Ciò è particolarmente calzante per avvicinarsi alla complessità dell’opera di Ciccia, peraltro più volte indagata anche autorevolmente, in questi decenni di attività. Di Ciccia, infatti, hanno scritto, in tempi diversi, ma cogliendo “tessere” efficaci del suo composito mosaico creativo.
Loffredo, a proposito del lavoro di Ciccia, parla di “viva concitata geometria della forma, ricca di gesta, impeto e movimento dalla identificazione inconfondibile”; ed ancora di “vitalismo dettato da uno spirito ribelle, con nervosa e inquieta pennellata”.

Paloscia, critico equilibrato e conoscitore profondo della couche artistica toscana, ebbe a ricondurre al “gestuale” la pittura di Giuseppe Ciccia, tratteggiando con lucida suggestione le “traiettorie estemporanee, lungo le quali si consumano grumi di colore”; in ciò trovando un àlveo comune con Domenico Pugliese (“timbri cromatici”), con Anna Balsamo (“iperbole di colori mediterranei”) ed Elvio Natali che fu il curatore della bella mostra al Pretorio di Prato del 1992, nel cui catalogo sottolineò la “vigoria dell’immagine” e la vicinanza con la spiritualità dell’arte Orientale, in particolare con la “corrente giapponese di Sho e Bokusho”.

In questa saggistica critica sull’opera di Ciccia (come si vede, saggistica di tutto rispetto) va isolata una singolare intuizione di Tommaso Paloscia; che cosa voleva dire accennando ad “attimi di nostalgiche rievocazioni, ben disposte a rinaufragare nelle nebbie della memoria…?”. Quali rievocazioni? Quali nebbie della memoria? Credo che nella risposta a queste intuizioni interrogative possano stare le coordinate critiche e poetiche della complessità creativa di Ciccia e della sua multiformità: che va dalla pittura alla scultura, alla grafica alla performance urbana (Petralia Soprana, 1995) e d’ambiente (“Sosta Vietata, 1996), alle geometrie (ottagoni e cerchi) investite con tecnica mista su tavola.

Ed a proposito di questi cerchi (o dischi) occorre riandare alle suggestioni dei “dischi” di Emilio Vedova – olio, tempera su legno-realizzati fra l”85 e l”88 nei volumi della Fattoria di Celle: le assonanze ci sono e forti, persino nella cromìa e nella gestualità. E in questi “dischi” di Ciccia, come in quelli di Vedova, non c’è nulla del melodico – come ha erroneamente suggerito qualcuno – e piuttosto dell’inquietudine, una stesura che è il risultato di una torsione, ove il “segno” nel suo farsi, ha una traiettoria ed una variazione di spessore.

Tutto questo porta a riflettere nel piccolo affollato studio che il nostro Artista ha nella bella e prestigiosa Piazza Savonarola, nel palazzo Liberty della Fondazione Carnielo. Qui si consuma la mia “inchiesta” sulla formazione e sulla sua “identità poetica”; a partire dal lontano 1963, da considerare l’anno di esordio del giovane messinese, classe 1946.

Certo è che fin d’allora – lo aveva in parte notato Dino Pasquali – sembrano fissarsi quelle coordinate culturali di “Espressionismo astratto” che, arricchite dalla vasta e consolidata esperienza fiorentina, lo porteranno ad un singolare sincretismo. Questa dei debiti culturali con l’espressionismo astratto è una traccia feconda che lo accompagna ancor oggi; ad esempio, il riferimento a Franz Kline, vale non solo per la pittura, ma soprattutto per le doti di disegnatore e per le sue tele bianco/nero che ci riportano a giganteschi ideogrammi cinesi; Robert Goldwater, a proposito di quelle opere, disse come di una “registrazione spontanea e senza ritocchi di uno stato d’animo impulsivo, annotato con rare confidenti pennellate”, che è quanto di più preciso possa attagliarsi a Giuseppe Ciccia.

Altro modello – soprattutto per la serie “vibrazioni” – è quello di Kooning (“Two woman with stille life”, per esempio o “Door in the River”) implementato da influenze di Hartung, almeno per quanto pertiene l’Astrattismo Europeo (si ricordi che il termine “arte informale” si impiegò per indicare che la pittura aveva abbracciato l’idea di assenza di forma”.

Non fisserei, dunque, le coordinate di Ciccia in un’area, ma parlerei piuttosto di un “moto di nuove forme”, di un “moltiplicatore neoformale e poliformale”… presente nel grande e nobile registro dell’espressionismo astratto.

Francesco Gurrieri